Intervento di Elia Montani, Presidente della Conferenza degli Studenti, durante la “Giornata del diritto allo studio”, organizzata dal Comitato regionale di coordinamento delle Università Lombarde presso l’Università degli Studi di Milano – 27/09/2023.

Vorrei utilizzare il tempo che mi è concesso per porre questioni, con lo scopo non tanto e non solo di fornire un’ipotesi di soluzione, quanto, piuttosto, di mettere in luce gli elementi politici, sociali e culturali che è necessario siano assunti come centro di un’azione che miri ad intervenire in materia di diritto allo studio, residenze e caro affitti.

Evidenzio però un primo punto: c’è una strutturale mancanza di dati inerenti al tema, la quale da un lato rende idea della complessità di esso, ma dall’altro causa una costante difficoltà nella proposta politica. A tale mancanza di dati rischia di conseguire una dipendenza dell’agenda politica dal dibattito pubblico. È perciò necessario che siano forniti dati ufficiali e attendibili, pena una generalizzazione del discorso che non renderebbe ragione del fatto che le esigenze di residenzialità non sono tutte uguali, in quanto emergono da contesti che si compongono di fattori difformi, su tutti: la differente attrattività degli atenei e delle città; e la diversità dei trasporti, che fa sì che in alcune città – come Milano – possa esistere la figura del pendolare mentre in altre no.  

Il fenomeno sopra descritto crea un continuo rimbalzo tra Comuni, Regioni e Ministero. Ma le competenze chiamano in gioco tutti: il Ministero sul come concepisce i bandi per i fondi di finanziamento ordinari e straordinari, il comune su possibili azzeramenti di Imu e Tari, l’università e i privati nel trovare accordi che spalmino l’ammortamento e il rientro degli investimenti del costruttore su più anni.

C’è, invece, una costante elusione di una responsabilità che non può che essere comune.

Ma qual è realmente la responsabilità che il legislatore ha su diritto allo studio, residenze e caro affitti? É l’affermazione del fatto che queste misure sono la condizione di crescita del nostrocapitale umano, della fucina dalla quale sorgerà il nostro futuro. Dunque, finanziare le borse di studio e gli alloggi per studentesse e studenti non è solo un diritto – spesso erroneamente eretto a pretesa – è piuttosto l’attuazione estremamente concreta di un modello culturale che mette al centro la formazione dei propri giovani perché ritiene che le condizioni attraverso le quali una studentessa o uno studente si formano, quali borse di studio e alloggi, siano il trampolino per donne e uomini formati, critici, e, di conseguenza, il trampolino per una società più avanzata. È perciò di primaria importanza constatare che lo sviluppo del nostro Paese non può prescindere dallo sviluppo di tuttele sue studentesse e di tutti i suoi studenti. Non può pertanto lasciare indietro coloro che non possono permettersi un affitto a prezzo di mercato. Questo chiama in gioco tre temi. 

Primo. Una riflessione sul nostro modello di università e formazione. Se parliamo di residenze parliamo di presenze. È sensato investire sulle residenze solo se è sensato investire sulle presenze in università e in città. Ma ci si sta interrogando su questo? Se da un lato si fa la corsa alle residenze ma dall’altro non si fa nulla per offrire agli studenti un’università e una città abitabili e si guarda inermi l’avanzata delle università telematiche, si rischia di agire in modo irrazionale. Se si decide di investire sulle residenze, vi dev’essere una contestuale azione sul valore della presenza in università e in città, cioè sugli spazi negli atenei, sui trasporti e sulla sicurezza. Alla base di ciò, dev’essere il principio secondo il quale non è possibile che il sistema universitario cresca se non è garantito il diritto allo studio. Quanto fatto nel Consiglio Dei Ministri del 25 settembre è un ottimo punto di partenza, che ci dimostra due fattori:  in primis, che se c’è una volontà politica, elemento da anni mancante, si riescono ad attuare i provvedimenti che gli studenti chiedono da tempo; in secondo luogo, ci fornisce l’occasione per ribadire la necessità di un consolidamento della misura, perché i fondi a disposizione non saranno sufficienti già a partire da quest’anno accademico. Chiediamo che lo stanziamento di 17.4 mln venga stabilizzato, e tenga conto del fatto che il fabbisogno è in costante aumento. Si deve infatti in ogni modo evitare che gli atenei siano costretti ad utilizzare i propri fondi per sopperire a questa inadempienza, perché questo costringerebbe a scegliere tra un’università di qualità e un’università per tutti, causando il venir meno della natura stessa dell’università: è cioè impossibile scindere lo sviluppo del sapere dal suo carattere di universalità, è quindi impossibile che si possa dare reale conoscenza senza che essa sia di tutti. Su questo tema si deve inoltre, a livello di governo centrale, iniziare a considerare la specificità di regione Lombardia, che riceve solo l’8,4 % dei finanziamenti provenienti dal Fondo Integrativo Statale a fronte del circa 16% degli studenti. 

Secondo tema. Che tipo di studenti vogliamo? Tutte le misure che si stanno attuandorispondono principalmente ai cosiddetti “redditi alti”. Laddove si riesce a strappare al prezzo di mercato qualche posto-letto per il diritto allo studio, questo causa un’impennata dei costi degli altri posti-letto perché il costruttore deve fare profitto. 

Ciò non significa che non ci si debba affidare ai privati perché fanno profitto o addirittura – come alcuni credono – che essi vadano esclusi dalla creazione dei posti letto chiedendo alla commissione europea di dimezzare l’obiettivo PNRR. 

Anche perché, attualmente, solo i privati possono garantirci la velocità di costruzione che il PNRR richiede. Si devono tuttavia valutare i bandi con i quali finanziare i privati, perché se la maggior parte del finanziamento di un certo intervento è ministeriale, è giusto che ci sia una corrispondenza tra tale percentuale e la percentuale di posti-letto che si assegna aldiritto allo studio o a prezzi convenzionati. Questo vale anche per il comune: se il comune approfitta del privato per “ricostruire” la città togliendo ad esso gli oneri di costruzione, è ottimo, ma lo faccia con un contestuale accordo di calmierazione dei prezzi. Le modalità finora applicate escludono il ceto medio, ma questa è una sconfitta a livello sociale e culturale. Che il destinatario delle attuali politiche di residenzialità sia solo lo studente che può permettersi una stanza a 800 euro al mese è una sconfitta per tutti, perché significa perdere parte di coloro che costruiranno il nostro futuro, e si sceglie di perderli per un modello che, francamente, non funziona nemmeno nel presente. Quanto voglio sottolineare è una paura non che la città di Milano si svuoti, la città di Milano non si svuoterà mai, è piuttosto la paura che la città di Milano si svuoti di studentesse e studenti, e, ancor più, lapaura che una studentessa o uno studente meritevoli, desiderosi di formarsi in atenei d’eccellenza, non possano fare ciò poiché provenienti da una famiglia del ceto medio.

Terzo tema. Che tipo di città vogliamo? È realmente un valore avere città popolate da studentesse e studenti universitari? Con Milano capofila abbiamo scelto il modello dello sviluppo di crescita per le nostre città. Ma se si rendono le città solo turistiche o ospitantieventi fieristici, si fa sì che per i giovani non ci sia più spazio. É perciò necessario trovare un modello culturale che non rinunciando a queste peculiarità di Milano, non lasci indietro nessuno, tantomeno coloro la cui formazione è quanto di più prezioso una città possa ospitare. Ospitare la formazione di studentesse e studenti, significa infatti, guadagnare in termini di dinamismo culturale e respiro internazionale, significa entrare nel dibattito scientifico europeo e mondiale. Se, dunque, è un valore che le città ospitino studentesse e studenti, si rende dirimente l’attuazione di misure che favoriscano questo fenomeno, che favoriscano e rendano conveniente ad ogni tipo di proprietario la possibilità di affittare a studentesse e studenti, come potrebbe accadere con un livellamento del mercato degli affitti che non si concentri eccessivamente su un modello prevalentemente turistico.

Elia Montani, Presidente della Conferenza degli Studenti

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